Un vorticoso giro di termica
Sono già trascorsi una quarantina d’anni dalla nascita del Parapendio e, malgrado sia uno sport -io preferirei definirlo arte- relativamente giovane, non è stato ancora codificato un sistema di allenamento specifico: se si disponesse, invece, di un millesimo delle finanze che girano intorno al calcio, saremmo circondati da tecnici, allenatori atletici, nutrizionisti, tattici, psicologi dello sport, trasmissioni televisive in cui vecchie glorie commentano l’ultima termica girata o dispensano consigli su speed e traversi.
Per fortuna, però, la realtà è ben diversa: circolano pochi soldini, i materiali costano sempre di più, le prestazioni e la sicurezza delle ali hanno raggiunto livelli impensabili fino a qualche anno fa e la progressione dei nuovi piloti è sempre affidata al fai da te. Ottenuto l’agognato brevetto, poi, di solito ci si trova davanti ad un vuoto cosmico, desiderosi di trovare una risposta alla fatidica domanda: che fare per migliorare? L’istruttore, considerato un dio in terra durante il corso, è già impegnato con altri allievi e non può certo impegnare tempo ed energie -dieci volte superiore al conseguimento dell’attestato di volo- per seguire un neo brevettato fino a farlo diventare un pilota completo: sarebbe necessario un successivo corso, il cui costo, però, risulterebbe davvero esorbitante per l’impegno richiesto. Normalmente, quindi, sono le amicizie, l’ambiente e persino l’emulazione ad influenzare le successive scelte di un neo-brevettato. Nella migliore delle ipotesi ci si affida a qualche corso di cross o a un SIV, poiché ultimamente pochi sono -ahimè- quanti si avvicinano alle gare. Io, invece, ho iniziato proprio da qui: 1997, Cavallaria, Campionato regionale.
Non sono ancora brevettato, arrivo in atterraggio e ho davanti agli occhi un affollamento mai visto: decine di facce sconosciute e sorridenti che, come in un vespaio, seguono regole ben precise nella confusione generale.
’’Nik -il mio istruttore- ma che succede?
’’Eeeeee ragazzooo oggi c’è una gara!
’’GARA????? e non me ne hai parlato prima????
Ripeto, non ho ancora il brevetto, vengo preso letteralmente a schiaffi dalle termiche, ma, insieme al mio inseparabile amico Michelangelo, mi cimento nel percorso stabilito per quel giorno dal direttore di gara. Il traverso Andrate- Cavallaria, uno dei traversi più temuti in quell’epoca, mi mette a terra, mentre Michelangelo fa tutto il percorso e arriva in goal. Senza accorgermene ero già stato contagiato dal germe della competizione: mi giravano a mille per essere stato battuto….!
Sono trascorsi ben vent’anni da quel lontano giorno; è il 2017, anno per me molto difficile: perdo mia mamma e la mia secondogenita Lisa eleva a potenza gli impegni e le responsabilità familiari. Continuo a gareggiare, più per avere una valvola di sfogo che per altro; a fine stagione metto la sacca nell’armadio e cerco di dedicare le mie energie altrove: ho perso la motivazione e sono alla ricerca di un equilibrio che il volo -in questo dato momento- non è in grado di regalarmi….. ho bisogno di uno sfogo che sia più fisico che mentale. Una sera, poco convinto e svogliato, però, mi iscrivo al circuito di Coppa del Mondo: cinque eventi tra loro indipendenti, se vai bene e ti piazzi nei primi posti hai la possibilità di accedere alla Superfinale, la gara col livello più alto in assoluto, un vero concentrato di super piloti che arrivano da tutte le parti del mondo. Io ho saltato le ultime due edizioni: il primo evento, infatti, coincideva con la nascita di Lisa, mentre il secondo, dopo tre giorni di maltempo e previsioni meteo catastrofiche, mi ha visto abbandonare la competizione per trascorrere del tempo in vacanza con la mia famiglia e, ovviamente, l’ultimo giorno di gara gli altri sono riusciti a fare task dopo giorni di pioggia!!!
Tre mesi prima dell’evento (Pwca a Baixo Guandu in Brasile) arriva la mail di Laura -segretaria della PWCA- che mi invita a pagare entro cinque giorni, altrimenti mi tolgono dalla waiting list. Nonostante la stagione balorda, il mio ranking -punteggio che certifica i risultati- è AA, il punteggio più alto, che se da un lato offre la possibilità di accedere a qualsiasi gara a livello mondiale senza intoppi, dall’altro obbliga a decidere per primo se partecipare o meno all’evento, pena l’esclusione. Parlo con Federica -mia amata compagna di vita- che ben mi conosce e sa cosa voglia dire per me gareggiare, mi sprona a pagare, ma io sono del parere opposto, non ho assolutamente voglia, ho completamente perso la motivazione….. mi dirigo verso l’armadio in cui dorme la mia vela, guardo la sacca e vedo un bicchiere mezzo vuoto, richiudo l’armadio e vado a dormire. Tanto per cambiare non chiudo occhio, l’indomani è l’ultimo giorno per pagare, da due settimane ho un raffreddore che mi tiene compagnia e, visto che il mio lavoro mi obbliga a viaggiare molto in auto, ho brevettato un sistema alternativo al solito pacchetto di fazzoletti per soffiarmi il naso: un ben fornito rotolo di carta igienica nella levetta del tergicristallo! Strappo due foglietti, scendo dall’auto e incontro un vecchio amico con cui giocavo a calcio: eravamo entrambi ala destra e con me -povero!- poche erano per lui le occasioni di vedere la palla, benché suo papà fosse un mezzo dirigente della squadra; io tifavo Toro, lui Juve. Lo osservo bene, è invecchiato male: pancetta, barba bianca, cicca in bocca. Scambiamo due parole, ma non mi racconta nulla di interessante; lo saluto, mi soffio il naso ed entro in Banca. “Desidera?’’ Chiede la voce oltre lo sportello. “Devo fare un bonifico: PWCA Brasile, importo 300 euro”. Rispondo io. Ho deciso!
La stagione 2018 dal punto di vista metereologico è forse, a mia memoria, la peggiore in assoluto: pochi giorni volabili, molta instabilità e -puntualmente- nel week-end è brutto. Non mi piace partecipare ad una gara e non aver la possibilità di vincere. La mia non è superbia, ma se prendo parte ad una competizione, voglio poter dire la mia, a prescindere dal risultato! Nel parapendio, però, normalmente si perde, vincere è un’eccezione. È uno sport crudele: mentre uno solo festeggia, gli altri spiegano la propria debacle. Quando salgo sul podio non riesco a festeggiare come fanno tutti, al massimo mi concedo un timido sorriso che regala al mio viso un’espressione un pò ebete. Forse la mia è una forma di rispetto verso chi è andato male e si sforza -malvolentieri- di festeggiare. La gioia, però, che mi accompagna quando vinco è incommensurabile: quando vinco, infatti, mi sento ancora in volo mentre gli altri sono inesorabilmente a terra! Anche i tuoi più agguerriti avversari sono obbligati a pensare a te e al fatto che li hai battuti, e piloti che magari non conosci di persona incominciano a salutarti. Il top è quando ti chiedono “che vela voli?”. In quel preciso istante cominci a diventare un punto di riferimento! Quando non vinco -ed è ovviamente la stragrande maggioranza delle volte- non manco mai di stringere la mano al vincitore, anche quando questo è il mio avversario più antipatico: considero questo gesto una forma di rispetto, un atto dovuto e so bene quanto faccia piacere riceverlo. E poi, dal semplice contatto, mi sembra ogni volta di acquisire qualcosa dal pilota di turno.
Il meteo.it per il we prevede un sole privo di nuvole in mezzo al Piemonte: controllo la differenza di temperatura tra Andrate e Borgofranco d’Ivrea, posto 400m più in basso. Stessa temperatura alle ore 12.00. In settimana ho visto qualche volo decente scaricato sull’xcontest e ora l’alta pressione è entrata, inesorabilmente. Il sabato lavoro, ma nel tardo pomeriggio trovo un bel prato, mi tolgo le scarpe, accendo un pò di musica e, con calma, apro la vela. Cinque mesi senza fare un solo gonfiaggio….non sono mai stato cosi a lungo senza staccare i piedi da terra, nemmeno quando mi sono rotto il bacino prendendo un cavo in atterraggio…. Prendo un moschettone, faccio un’asola ad una pianta, metto in pari le bretelle e controllo la simmetria: tutto in ordine. Osservo il fascio, lasciandolo scorrere sul palmo della mano quasi fosse un foulard di seta, poi passo ai cordini dei freni, li stiro un po’ con una trazione di circa 10 kg; la calza, che avvolge il cordino interno, a lungo andare si accorcia e quando si va a full speed anche una debole tensione dei freni compromette l’efficienza e la stabilità, per questo nelle vele da gara si usano i freni molto lunghi. Le regolazioni dell’imbrago non si sono mosse di un millimetro e trovo all’interno della seduta una cavalletta mummificata… chissà da dove arriva, mi chiedo curioso. Ripiego, chiudo la sacca e torno a casa rassicurato del fatto che tutto sia in ordine, come credevo!
Passeggino, borsa di Luca, borsa di Lisa, borsa del cibo, ovetto, amaca, bici, bruco con le rotelle, pannolini, suocera e… la vela dove cazzo la metto? Decido di salire al Belice a piedi, non avendo molto tempo a disposizione approfitto di ogni occasione per tenermi sufficientemente in forma. Antonio Sanò- meteo.it – tanto per cambiare ha preso una cantonata e già una decina di vele galleggiano 100m sopra il decollo col cielo completamente blu-Piemonte, ovvero leggermente palliduccio. Sono senza strumenti, li ho, infatti, prestati a dei ragazzi per lo Stage Giovani organizzato con la Lega Piloti lo scorso settembre a Bassano del Grappa: giovani e promettenti piloti provenienti da tutta Italia che hanno avuto modo di confrontarsi con piloti di alto livello in merito al mondo delle gare.
Come al solito saluto, apro e decollo. Non mi piace stare in decollo ad aspettare e -francamente- non gradisco neppure lo spettegolezzo gratuito che si ascolta normalmente… Non tira molto e abbandono anche, da subito, i miei propositi di fare un pò di gonfiaggi. La prima sensazione è quella di inadeguatezza: non mi sento a mio agio, la vela si muove molto e mi intimorisce. Provo subito il confronto, non avendo il vario ed essendoci termiche di valore debole, questo è l’unico sistema per capire se salgo o se scendo, tolta la prospettiva col pendio. Salgo a fatica, perdo metri rispetto al mio avversario occasionale, mi innervosisco e mi allontano. La scena si ripete più volte, col solito risultato.
Mentre piego -centina per centina- non smetto di pensare al volo appena fatto, scuoto la testa e sussurro ’son messo proprio male’. Avevo terminato la stagione precedente con un buono stato di forma, vincendo un trofeo a Sestola e riuscendo nell’ultima task a stare davanti a tutti dall’inizio alla fine della gara, cosa molto difficile. Svanito tutto, come una bolla di sapone… Mi sento un pò svuotato, la tensione mi ha messo a dura prova, era un pò che non mi sentivo cosi a disagio. E’ da anni che volo vele da competizione, quest’ultima al confronto con alcune ali del passato è poco più di un intermedio, ma in volo ho avuto un pò di difficoltà, e la cosa mi preoccupa. Per contro, dopo pochi secondi dall’aver staccato i piedi da terra, tutti i miei recettori propriocettivi hanno fatto festa: le mani sui comandi, il bacino, la pianta dei piedi sulla speed, il fondoschiena sulla seduta, l’olfatto, la pelle, l’udito. Si dice che volare in parapendio senza strumento sia bello perché si vola in silenzio. Per me non è cosi: la vela emette una quantità enorme di rumorini -soprattutto quando è nuova- e il cambiamento di velocità verticale e orizzontale crea refoli d’aria continui che possono dare indicazioni interessanti. Torno a casa un pò abbacchiato, ma da qualche parte dovevo pur iniziare, mancano due mesi alla gara in Brasile….
Piove, mi sono beccato nuovamente qualche malattia che i bimbi molto gentilmente hanno traghettato dall’asilo e col telecomando in mano salto di canale in canale mezzo rimbambito. Un belloccio impomatato dalla parlantina sciolta, per l’ennesima volta, non risponde alla domanda del giornalista di turno -a scuola se sbagli tema ti becchi un bel 4- e ripete alla nausea di reddito, stipendi rimborsati, blog, movimento… il tutto condito da una quantità esagerata di avverbi. Cambio canale e qui il tema è migranti da respingere e ruspe da usare con un’etica fuori dal comune. Cambio ancora, ci sono proprio tutti stasera: di questo personaggio, che credo sorrida anche quando va a cagare, possiedo una maschera di carnevale, vado a cercarla in sgabuzzino, la indosso, mi guardo allo specchio… Mi hanno fregato, me l’hanno venduta con la sua faccia più vecchia di 20 anni! Da adolescente ho sempre pensato che se anche io non fossi diventato un grande statista o uno scienziato di fama mondiale, malgrado al Liceo amassi conoscere classi sempre nuove, ci sarebbe stato -in qualche modo- un sistema, un’istituzione alle sfere più alte capace di garantire una certa tranquillità sociale anche agli asini svogliati come me! Invece, con il trascorrere degli anni, mano a mano che la politica in qualche modo ti si para davanti agli occhi, ti risvegli in un incubo quotidiano… Spengo la tv, mi alzo e vado a cercare ‘La fattoria degli animali’, di Orwell, mi verrebbe voglia di comprarne tre copie e spedirle a ciascuno degli aspiranti premier intervistati, ma sarebbero tempo e soldi sprecati…..
Un aspetto del volo che davvero mi piace è il fatto che non puoi barare, sei quello che fai, sei da solo e non puoi nasconderti tra dei compagni di squadra, non vendi fuffa, anche se qualcuno a volte ci prova… A differenza del volo di cross, infatti, in gara le regole vanno seguite, tutti le seguono, tranne rare eccezioni. Se qualcuno imbroglia e viene scoperto, magari la passa liscia e non viene punito, ma il marchio rimane inciso. Se si entra in cumulo e si rubano metri ai propri avversari, poi, si rimane bollati per tutta la vita per quello che fa cumulo, come se si fosse persa la verginità, per sempre. Anni fa a Feltre, uscendo a base cumulo, sono stato risucchiato dallo stesso per una cinquantina di metri. Eravamo rimasti non molti in volo, la task prevedeva una boa dalla parte opposta della valle, non tirava e ci siamo salvati in pochi, avevo un bel vantaggio sugli altri ed ero sicuro che nessuno dei miei inseguitori mi avrebbe visto. Uscendo dal cumulo -per pochi secondi- non ho visto il terreno sottostante, e benché la regola imponga di perdere quota in una zona priva di nube in modo da non prendere vantaggio, ho pensato fosse ininfluente rispetto al vantaggio che avevo, in quanto sarei riuscito ugualmente a vincere a freni tirati… ci sono piloti che abitualmente beneficiano di metri in questo modo…. è una pratica abbastanza diffusa questa: si rimane sulle barbule al limite del consentito e, a volte, si sfora leggermente. Non avevo, però, fatto i conti col direttore di gara che era sotto la mia verticale e che, dopo la pubblicazione delle classifiche, mi prese da parte e mi parlò.…
Mi sveglio improvvisamente nel cuore della notte, la mia psoriasi al gomito destro mi obbliga ad una grattatina veloce, preludio di un mezzo orgasmo epidermico. Domani si vola e ho in previsione un esercizio difficile, ostico, fastidioso, snervante e, apparentemente, confusionario che ad uno stage giovani di qualche anno fa ho battezzato come ‘uovo al tegamino’.
Nel 1996, a fine corso, siamo a far campetto a Pian dell’Alpe: Michelangelo e io saliamo sempre un pò più in alto rispetto agli altri per planare più lontano, siamo instancabili! Io sbaglio decine di decolli, la mia lussazione alla spalla sinistra obbliga il mio corpo di riflesso a chiudere il braccio in fase di trazione facendo salire la vela asimmetricamente; da lì a poco imparerò da solo a decollare alla francese. I piloti più forti del tempo si distinguono dalle pippe come me non per la vela, ma bensì per la tuta: solo se indossi la tuta da volo sei un pilotone ed io vestivo un paio di pantaloni dismessi e rattoppati, un paio di guanti da carpentiere e un kway arancione!!! Durante la pausa pic-nic chiedo a Nik: ‘Ma le termiche come si girano?’
’Eeeee ragazzooooo, quando senti il vario che fa bip conti fino tre e poi inizi a fare dei 360’. Lezione conclusa! “E se il vario fa bip solo due secondi o più? E se uno come me non ha il vario?”
Devo la nascita di questo esercizio ad uno dei piloti piemontesi più forti di allora: Claudio Vigada, alias Pupillo .Un anno dopo sono a Corio, sito di volo con termiche generose e potenti. Io volo già una Nova Xion, DHV 2-3, lui la Nova Xenon, vela da gara di punta del momento: questi sono gli anni in cui, se non precipiti e se non hai uno Xenon, non vinci! Lo Xion è la derivazione dello Xenon: più sicura e leggermente meno performante. Dopo il corso di termica di Nik io e Michelangelo ci siamo persuasi che, trovato il valore, ci si deve avvinghiare come un’edera ad un tronco, con comandi sotto il culo per non venir sputacchiati fuori. Io sono allergico alla presenza di altri piloti, volo in modo anarchico, da solo, sempre e comunque. Noto, però, che Pupillo, a differenza di altri piloti, vola pulito, senza far compiere alla vela movimenti inutili e questo mi rassicura: posso concedergli di girare una insieme a me. Ai primi due giri mi difendo bene, salgo uguale, sono un pò teso, ma lui è a vista, gli sono leggermente dietro e posso controllarlo costantemente, non mi infastidisce la sua presenza, approfitto per osservare quanto tira i comandi e vedo il suo piede sinistro alla destra di quello destro, sintomo della gamba accavallata per far girare meglio la vela. Io chiudo sempre di più il valore e ho l’impressione silenziosa -sono ancora senza vario- che la termica sia ormai ingabbiata sotto la mia semiala destra, quando all’improvviso lo vedo allargare la virata. Per un momento ho quasi l’impressione voglia uscire dalla termica. Temo di averlo disturbato, di aver girato male, ma poi lui torna sui suoi passi e me lo ritrovo dietro più alto…Ma che è successo? Come ha fatto? La scena si ripete ancora un paio di volte, mi prende 100m e se ne va. Solo parecchi anni più tardi ho parlato di questo episodio con Pupillo e gli ho confessato che per me quello è stato un momento di grande insegnamento….
In gara la maggior parte dei piloti usa volare in termica come il forte giocatore di Poker, che è tale non perché vince tanto, ma perché quando le carte non girano sa perdere poco -segreto confessatomi da Lino, ex giocatore siciliano di Poker professionista. Soprattutto quando si formano gruppi numerosi si tende a rimanere nel gruppo senza prendersi rischi, limitandosi a controllare i propri avversari. Spesso ho fatto la differenza proprio in questi momenti, allargando il giro al momento giusto o chiudendo il giro quando possibile e consentito; agire in questo modo, però, è difficile, perché la presenza di molti piloti limita il raggio di azione e se si sbaglia, il prezzo da pagare sono i metri regalati ai propri avversari… ma è questo l’unico modo di prendere vantaggio in quei momenti… Ormai tutti salgono bene, le vele si equivalgono e la differenza si fa sulle sfumature, sui piccoli dettagli, sulle irregolarità giro su giro. A me viene naturale farlo, sono semplicemente abituato a farlo: e salire forte in termica è la regola numero 1 in gara.
Tanto per cambiare la giornata è stabile, il decollo del Belice non si allontana mai se non quando lo si vede dal basso e ciò obbliga a recuperi in zona rossa a rischio buco. Appena guadagno un pò di quota, allargo, cerco il margine, lo sporco, la zona no limits, l’albume insipido e ricco di proteine, per poi tornare velocemente -dopo un paio di giri- a godermi il centro della termica, con la sua ascendenza più regolare, più corposa, il rosso d’uovo, il tuorlo più saporito, ricco di grassi e colesterolo. Sono ancora senza vario e questo rende l’esercizio certamente più difficile, ma più efficace. Vedo la vetta del mio Everest lontanissima: devo ancora arrivare al primo campo base.
Luca -il mio primogenito- è un bimbo dolce e riflessivo, se ti incontra per la prima volta rimane in silenzio, incrocia il tuo sguardo, ti legge l’anima e ti giudica: buono o cattivo! E’ cosi che si dovrebbero dividere gli esseri umani, non neri e bianchi, ricchi e poveri, migranti e oriundi…i bambini non sbagliano mai! A differenza di Federica non ho letto nessun libro sull’educazione dei bambini, mi affido molto spesso al famoso aforisma di Socrate: i bambini crescono meglio con un pò di fame e un pò di freddo. Se mio figlio cade, non lo aiuto ad alzarsi, ma gli spiego come cadere senza farsi male e magari -come mi ha insegnato il mio carissimo amico Gianni- dopo gli faccio anche lo sgambetto per vedere se ha appreso l’insegnamento!
Dechatlon, reparto bici, vado avanti e indietro e finalmente mi decido a chiedere ad un ragazzo munito di targhetta: “Scusi, ma le bici senza rotelle per bimbi di 3 anni e mezzo dove sono?”
“Mi spiace, di solito i bambini imparano ad andare in bici dopo i cinque anni!” -risponde il gentile commesso.
“Il di solito mi infastidisce’ –rispondo io….
“Scusi?’ – incalza lui…
“Niente, era tanto per dire…’-concludo io, lapidario….
Anche il modo di dire ‘prima o poi ‘ mi infastidisce… se lo dici sei già in ritardo: viviamo 2/3 della nostra età, 1/3 lo utilizziamo per dormire -io molto meno!- senza pensare a tutto il tempo inutile che sprechiamo durante la giornata. Non puoi prevedere cosa ti succederà domani e se la vita ti si mette di traverso sei fottuto: game over!
Mi allontano dal “di solito i bambini imparano ad andare in bici dopo i cinque anni” e faccio una telefonata per confrontarmi e prendere una decisone…..”Fede la bici più piccola è per bambini dai 5 anni in su ed effettivamente è un pò grande, che faccio?
’’Tanto lo so che la compri lo stesso’- risponde, serafica, Federica
“Ok, ci vediamo a casa!”- chiudo la conversazione con un mezzo sorriso….
Ho un pò di timore a far salire Luca su una bicicletta così grande, ho paura si possa spaventare. La scorsa estate -per una minima distrazione- è finito nell’acqua alta, probabilmente è finito sotto, ha bevuto e da allora vive la piscina con un pò di timore, era lì lì per imparare a galleggiare…Quando cerca di salire sulla bici mi ricorda un uomo che tenta di salire a cavallo senza staffe….!!! A cena mangia con appetito, il cerotto colorato per guarire dalla bibi sul gomito destro e l’altro, un po’ più grande sul ginocchio, vivacizzano il suo corpicino esile. Alla terza spinta aveva pedalato per 10 metri, era caduto, aveva pianto, si era rialzato e mi aveva chiesto di riprovare: ormai era fatta! Due giorni dopo ci svegliamo un pò prima del solito, casco in testa, e affrontiamo a muso duro marciapiedi, strade, passaggi pedonali e soprattutto auto sfreccianti di primo mattino: ben un chilometro e mezzo di giungla cittadina. Quando Luca entra nel cortile dell’asilo sembra un gladiatore che ha appena combattuto con tigri e leoni, una macchiolina rossa gli compare sul pantalone all’altezza del ginocchio sano e gli occhi cercano il consenso dei bimbi, suoi compagni di giochi, ma il cortile è deserto, sono le 9,15 e sono già tutti in classe… Ci sono solo io ad osservarlo, mi commuovo e sussurro ‘ti amo’ con gli occhi gonfi di lacrime….
Una sera qualunque il telecomando della tv si è trasformato in un gratta e vinci vincente. Finalmente qualcuno che dice cose sensate, usa correttamente i congiuntivi e, soprattutto, parla di sport senza ovvie banalità: Julio Velasco. Argomento: metodi di allenamento. Negli anni 2000- da perfetto sconosciuto- allenò la Nazionale Italiana di pallavolo e vinse tutto: in precedenza la Nazionale non aveva vinto mai nulla. Mi colpì in particolar modo l’applicazione della regola del minor sforzo, e la teoria degli alibi. La prima spiega che si è inclini in qualsiasi attività umana a utilizzare il sistema più semplice e meno dispendioso per ottenere un risultato. Nei suoi allenamenti l’aveva stravolta e ribaltata, diventando un dogma per i suoi giocatori . La seconda obbliga ciascun componente ad assumersi le proprie responsabilità, a prescindere dal comportamento dei compagni di squadra. I fatti gli diedero ragione e, oltre a vincere tutto, negli anni a venire molti allenatori seguirono la sua impronta.
Anche se apparentemente agli antipodi il passo dalla pallavolo al parapendio era presto fatto. Feci mie le sue teorie. Ho incominciato a considerare il volo da puro piacere a vera e propria sessione di allenamento: avendo sempre meno tempo a disposizione non avevo alternative!
In decollo finalmente incontro il mio amico Scialla -alias Davide Cassetta. La giornata è buona, tutto l’arco alpino è accompagnato da cumuli con base intorno ai 1800m. I patiti di xc sicuramente hanno macinato già qualche km. A me non piace fare cross, mi annoia e, a volte, mi snerva. Ho un’autonomia di un’ora e mezza, poi non vedo l’ora di atterrare e fare altro. Potrei, invece, gareggiare tutti i giorni. Oppure mi esaltano le sfide al limite dell’impossibile, godo come un riccio quando la gravità mi chiama e giro una bolla a 50 metri da terra.
Ma oggi è giorno di allenamento.
’Finocchio -è il nostro modo amichevole di chiamarci- andiamo a Candia?– domando io entusiasta.
’Minchia Marco, ma sei sempre il solito, ci sono i cumuli in montagna e tu orcozzzzzio vuoi andare in pianura! – risponde, come sempre, Scialla.
Non gli rispondo, apro, decollo, faccio base e plano di fronte a me verso una termica invisibile.
Volare in pianura mi piace: non hai punti di riferimento e in mancanza di cumuli devi sentire l’aria, non puoi permetterti alcuna distrazione. Per circa mezz’ora rimango a gironzolare di fronte al decollo: c’è una buona instabilità e anche con termica blu non è difficile spostarsi. Verso Corio il vento in quota da Nord Ovest decide -ad un certo punto- di dire la sua, accarezzando i cumuli in cresta e provocando una vasta area d’ombra. Sorrido, pensando ai divoratori di km che, ringraziando un paio di santi in paradiso, girano i tacchi di 180’ e tornano sui loro passi. Io non perdo l’occasione e tento il suicidio: mi ci tuffo a piè pari! Situazioni del genere sono abbastanza frequenti in Brasile. Immediatamente le ascendenze si prendono una pausa per ripresentarsi dopo un pò sotto un’altra veste, più dolce e incostante. Sopravvivo per circa un’ora e il coraggio mi premia con due salvataggi miracolosi: il primo costringendomi a rimettere le gambe all’interno dell’imbrago -ero ormai in fase di atterraggio- ubriacandomi di 360’ senza fine per guadagnare 300m con uno scarroccio di 2 km; il secondo obbligandomi per cinque minuti ad una dinamica su un boschetto di conifere condita da un profumo di costine alla brace. Quando atterro il verso che mi esce spontaneo è lo stesso di quando una bella ragazza ti passa a fianco, tu fai una virata di 180’ come i crossisti imprecanti per l’ombra non prevista, la tua testa fa un’inclinazione di lato e la tua bocca si socchiude in segno di approvazione
Mi è sempre piaciuto guidare veloce. Veloce e pulito. Patisco chi accelera a fondo, frena all’ultimo e disegna angoli retti in curva. Tanti anni fa un mio amico mi propone di partecipare ad un minirally in collina, al tempo era tutto più facile, forse non mi hanno neanche chiesto la patente… La macchina ce l’aveva prestata suo cugino, una 112 Abarth che usava per fare il cretino. ‘Dai Marco, è anche elaborata e poi dobbiamo solo tirare un paio di freni a mano, mica andiamo lì per vincere!’. Mi risveglio dal tormento di tanta insistenza, alzo gli occhi, lo fisso due secondi….‘andiamo a prenderla’. Definirla auto da corsa era un po’ esagerato: era stata completamente verniciata di nero con la bomboletta e ogni tanto l’artista in vena di ispirazione aveva aggiunto qualche macchia di giallo ocra per completare l’opera. Sembrava un coleottero. I fari erano stati rimossi, il fondo era completamente marcio e si entrava da una porta sola…”Però guarda che marmitta gli ha messo….”.
..mavaff….’
Ci lavoriamo due giorni interi. Con un paio di staffe saldate sotto la scocca ci assicuriamo almeno di non finire col culo per terra, cambiamo completamente la benzina, puliamo il carburatore e i filtri, trascorro tre ore a registrarmi la leva del cambio e la frizione e, infine, piantiamo due cunei di legno tra le molle degli ammortizzatori per renderla più rigida. Il motore le faceva onore, non so quanti cv erogasse, però, girava bene! Infine, rischio di farmi venire il gomito del tennista per togliere i chiodi da due gomme anti neve che prenderanno posto anteriormente. Dietro, due marcioni, gonfiati poco. Il blocco del freno a mano era già a stato rimosso e un vecchio sedile ‘Sparco’ avvolgeva degnamente il mio fondoschiena. Nessun giro di ricognizione; é consentita solo una passeggiata a piedi. Il percorso é di circa 1 km, misto tra asfalto e terra. Al primo giro vado lungo, staccando troppo tardi, retro-retro-retro e nel frattempo grattuggio mezzo kg di parmigiano. Spengo il coleottero, ingrano la retromarcia, con calma, rimetto in moto e finisco il giro in prima al minimo. Ciao ciao tempo. Il mio amico li per li non capisce… io sto cercando di capire. Quando salgo sul podio ho la testa bassa, sono incazz…. nero, mentre mi ripeto ‘4 decimi, 4 decimi, 4 decimi… ripasso mentalmente tutto il percorso e cerco di capire dove ho sbagliato. I piloti del giro mi guardano come se fossi sceso dalla luna, qualcuno lo avevo visto curiosare intorno alla 112. Un timido sorriso inebetito ad un certo punto compare sul mio viso e mentre il pilota al mio fianco sorseggia champagne io già scambio sguardi sempre più furtivi con la sua fidanzata….
Ho avuto la fortuna di gareggiare -ed essere battuto- dai più forti piloti al mondo in questo ultimi vent’anni; per tutti il tratto distintivo, quasi un sorta di segno di riconoscimento, non è tanto la capacità di salire in termica o l’abilità nel tirare la speed; niente di tutto questo…. quello che accumuna questi top pilots è l’umiltà, semplicemente l’umiltà. Ci sono piloti che hanno vinto molto, pur non meritandolo, e altri, invece, che hanno vinto poco o nulla, pur essendo piloti di altissimo livello. Per conto mio, mi sono letteralmente mangiato due Mondiali che -ogni tanto- fanno riaffiorare un po’ di nostalgia. Il primo in Portogallo: sono arrivato corto di pochissimi metri sulla linea di meta, al tempo non esistevano ancora gli scarti e se non si tagliava la linea del goal si era eliminati dai giochi…. Il giorno prima avevo vinto la task, ero riuscito a scappare dal gruppo salendo meglio in una termica insieme ad un giovane pilota svizzero le cui vittorie non si conteranno più negli anni a venire, Stefan Wiss. Verso la fine del percorso, lui non prende rischi, aspetta il gruppo e io chiudo con qualche minuto sugli inseguitori. Il giorno dopo in decollo, dopo avermi osservato qualche secondo, si avvicina niente popò di meno che Christian Maurer, scambiamo qualche parola, mi fa i complimenti per la task e poi mi saluta e se ne va. Due passi, si volta e mi chiede: “Che vela voli?”
Credo di essere stato uno degli ultimi piloti in gara ad aver imparato ad usare le B per pilotare nei traversi. Non che non le usassi mai, ma quando stava per arrivare la legnata, per fermare la chiusura, mi appendevo ai freni. Troppa paura! Un pilotaggio di questo genere fa perdere quota, tempo e – di conseguenza- prestazioni.
La differenza di temperatura tra Andrate e Borgofranco è prevista di 4 gradi, finalmente una giornata buona! Mentre salgo in decollo, i cumuli sono già ben formati sulle Alpi e si intravede anche qualche batuffolo bianco in piana. Scelgo un percorso facile, che conosco bene e che mi consenta di recuperare anche se faccio errori: Belice-grissino e ritorno. Scommetto con me stesso di arrivare sulla verticale della famosa Torre, in mezzo alla Serra di Ivrea, entro l’ora: non mi è mai riuscito! Non so bene quanti km siano, ma sono tantini… Decollo, faccio base in fretta, mollo completamente i comandi, prima, seconda speed, piede destro appoggiato sulla terza della mia Bullet, mi attacco alle B e percorro -con due termiche e mezzo- il tratto che separa Belice da Cavallaria.
Stare solo con le B in mano mi fa paura, mi vengono in mente mille pensieri, il primo ovviamente non può che essere rivolto ai miei bimbi e alla mia famiglia, a mio papà che non sta molto bene, al rischio di farsi male e così via… Dopo circa mezz’ora, tra termiche a +4 con la speed a stecca incomincio a darmi del cogl… La barretta trasversale che permette di controllare la vela trazionandola, mi fa sollevare dalla seduta e, dopo un po’ di prove, trovo che il giusto compromesso sia posizionare le falangi delle mani poco sopra, direttamente sulle bretelle e trazionare verso di me per il controllo. Bingo! Col trascorrere dei minuti mi trovo sempre più a mio agio e la sola idea di tornare ai comandi mi terrorizza. Guardo l’ora, 55 minuti e qualche secondo: il Grissino è ormai sul mio cono di planata, ma la meravigliosa convergenza della Serra, che mi ha concesso di correre fino ad ora, mette in ombra tutta la zona. Voglio tornare, i miei bimbi mi aspettano in atterraggio e ho una voglia matta di abbracciarli….
Un contadino mi osserva per alcuni minuti prima di avvicinarsi, io sto piegando in fretta e sto già studiando come fare per tornare veloce. Sono a Bollengo, sotto il Grissino, sul bordo del campo coltivato e forse ho pestato qualcosa di seminato. Quando il contadino è a pochi metri da me, non mi faccio prendere in contropiede e mi scuso con lui. Ha mani grandi e nodose e un sorriso amaro sul viso, dimostra sì e no 60 anni. Non è indispettito e chiacchieriamo alcuni minuti. Gli spiego da dove sono partito e come vorrei tornare, ovvero facendo l’autostop! Trascorre ancora qualche momento, si gira e se ne va…. e, mentre attraverso il cortile della sua cascina lo vedo venirmi incontro con una vecchia Ibiza, abbassare il finestrino e gridarmi un energico ’sali!’ Mi racconta tutto della sua vita e a volte sembra sul punto di commuoversi….trascorriamo insieme poco meno di un’ora. Siamo arrivati, è il momento dei saluti e voglio sdebitarmi con lui, pagargli almeno da bere…. ma non c’è verso, mi saluta con un arrivederci che non tradisce le sue origini piemontesi; voleva semplicemente parlare con qualcuno e io l’ho lasciato fare…. Non aveva su e giù 60 anni, ma solo 45, un matrimonio andato in malora e un mucchio di lavoro arretrato per via del brutto tempo.
P.S. Quando, dopo molti anni, mi hanno chiamato per portare col mio carroattrezzi la 112 in demolizione ho pianto, da quella volta non avevo mai più corso in auto….
Il we danno pioggia, han volato bene tutta la settimana, ringrazio i santi in paradiso e mi prendo un paio d’ore per volare giovedì. Salgo a piedi, sacca in navetta: questa è l’hike and fly dei garisti!
Cumula, ma la base è appena sopra il decollo, grigio piemontese ovunque e foschia londinese.
Decido di volare e di fare il contrario di quello che avviene in gara, ovvero volo piano. Anzi, per essere più preciso, non uso la speed, la mia amata Bullet. E’ un esercizio di fino, si deve far volare la vela correggendola il meno possibile; ogni beccheggio, imbardata o rollio in eccesso regala metri invisibili alla gravità. E’ difficile -o meglio, impossibile- quantificare quanti metri si sprecano facendo fare all’ala inutili movimenti, ma se si prova ad immaginare quanta benzina in più si consuma con una guida cosiddetta sportiva il conto è presto fatto.
Quando volo ho una compagna di viaggio, fidata e sempre presente: la paura. Tutti i piloti ce l’hanno, chi più, chi meno. Se qualcuno afferma il contrario, mente. La paura è il campanello d’allarme, la vocina che sussurra all’orecchio, l’asticella che separa da un incidente o, addirittura, dalla morte.
Da quando volo ho avuto un solo incidente degno di nota, durante i Mondiali del 2005 in Brasile, a Governador Valadares. Non ho visto un cavo in un atterraggio di emergenza, o meglio l’ho visto in ritardo, virata secca, spenzolata, e fiondata violenta contro il terreno, game over… Torno in Italia con tre fratture al bacino e un polso che ricorda il sifone di un lavandino. Il mio primo pensiero?’ “ Ho finito di volare!” Il secondo? “Torno più forte di prima!” Quando l’ortopedico mi ha concesso di deambulare con una sola stampella anziché con due, ho preso la macchina, sono andato a Piossasco, mi son fatto prestare una vela e sono decollato… Anni fa ho parlato di paura con uno dei più emblematici talenti della storia del Parapendio, che ai miei occhi pareva di ghiaccio, ma che, invece, ho scoperto essere un uomo vero: Jimmy Pacher. Avevamo amici in comune, gli spettri nell’armadio e in volo condividevamo gli stessi timori.
Quando volo, convivo con la paura e, a seconda del periodo, della forma e dello stato mentale, essa si presenta più forte o più debole; per impedire, poi, che questo sentimento prenda il sopravvento, la trasformo in una sorta di tensione o concentrazione e in gara, salvo situazioni particolari -dopo l’apertura dello start- scompare quasi del tutto!
Essere al 100% è essenziale… se dovessi essere interrogato dopo una gara potrei, tranquillamente, fare la telecronaca completa di tutte le termiche e i traversi -ovviamente dal mio punto di vista!- benché del paesaggio da me sorvolato….non conservo quasi nessun ricordo, in quanto non è un elemento importante, in gara!
Per questo si devono risolvere -a terra- gli inconvenienti che possono creare disagio e far perdere concentrazione per aria. Uno fra tutti? L’uso degli strumenti.
Spesso vengo bonariamente rimproverato per avere una consolle un po’ obsoleta: non ho uno strumento cartografico e utilizzo pochi dati essenziali. Meno complicazioni meno problemi. Dopo cosi tanti mesi di inutilizzo mi accorgo, però, che se chiudo gli occhi un attimo e ripenso alla posizione dei dati sullo strumento mi dimentico qualcosa… Domani è buona, scarico i waypoint della Cavallaria e imposto una task. Ovviamente il giorno dopo è tutto coperto, maledico Antonio Sanò e vado a lavorare, con il GPS appoggiato sul cruscotto della macchina….
Lisa ci sta mettendo a dura prova: di notte dorme male, si sveglia in continuazione e, proprio per non farsi mancare nulla, non tradisce le sue mezze origini pugliesi… invece di parlare, infatti, lei urla! Io non volevo figli, la mia libertà prima di ogni cosa… Poi la vita prende direzioni inaspettate. Ed eccomi qui, a cambiare pannolini con velocità e precisione, preparare colazione, pranzo e cena, controllare e prevedere ogni cosa: tutto sotto controllo….
Una qualità che i garisti sviluppano in modo evidente rispetto a chi si dedica semplicemente al volo di cross è il controllo del campo visivo: più informazioni si riescono ad elaborare nel minor tempo possibile, più risposte si avranno a disposizione per il proprio volo. Ciò è evidentissimo soprattutto in termica: ogni pilota osserva tutti gli altri nel proprio raggio d’azione e, al minimo accenno di termica migliore della propria, ci si sposta velocemente. Disporre, pero, di un buon campo visivo si riflette anche in seno alla sicurezza, saper ‘vederci lontano’, prevedere cosa potrebbe succedere rispetto -per esempio- ad un fenomeno metereologico potrebbe, in alcuni casi, preservare anche da spiacevoli conseguenze.
Andrate, marzo 2005.Giornata stranamente molto stabile e foschiosa; si galleggia a malapena sopra il decollo e dopo mezz’ora mi trovo in atterraggio a ripiegare. La giornata e’ ancora lunga e, affamato di volo, torno in decollo, dove trovo altri piloti che stanno aprendo le loro vele. Sono ormai le 15.00 e la giornata sta volgendo al termine; si prospetta poco più di una planata o- al massimo- una dolce restituzione serale. La mia attenzione è catturata un pilota che sta termicando a poche centinaia di metri dal gruppo di cui sono parte; ad un certo punto inizia a salire bene, guadagna almeno 600/700 metri e continua coi suoi 360’. L’euforia contagia i presenti che si precipitano a decollare. A me la situazione non convince -anzi, puzza decisamente- certo non ho molta esperienza, ma che la giornata abbia il suo miglior momento a quell’ora non mi convince affatto… Mi volto verso Ovest e una barbula sfilacciata passa a poche centinaia di metri da noi ancora in decollo, mi avvicino e scambio due parole a tal proposito con un carissimo amico, istruttore locale -Franco Bonavigo- che solerte mi accompagna lungo la strada che porta verso Andrate. Da lì ho la possibilità di guardare a Nord, verso la Valle D’Aosta. Immediatamente comprendiamo cosa sta succedendo: il cielo è diventato più limpido, sta entrando Nord… In pochissimo tempo lo capiscono anche i piloti in volo che, vento in culo, atterrano decine di km più a Sud, con le chiappe strette….
Manca poco alla partenza per il Brasile, è ora di cambiare marcia.
Giornata buona, cumuli un po’ ovunque e solite facce in decollo.
Saluto, apro, decollo, faccio base e inizio a spingere sulla Bullet, cercando di mantenere una velocità superiore rispetto a quella che si terrebbe durante una normale gara. Gli errori, ovviamente, si moltiplicano, obbligandomi a recuperi repentini e alquanto difficili. Volando sempre da solo ho adottato, via via negli anni, un sistema sicuramene un po’ estremo, ma efficace: se vedo un pilota che mi precede ad una certa distanza, scommetto con me stesso il tempo che ci metterò a sorpassarlo!
‘Mandri -così mi chiama Federica- sai quel costruttore di cui vendo le case, che sta costruendo quelle quadri familiari a San Raffaele Cimena?
Quanto tempo abbiamo?
Quanto tempo per cosa?
Quanto tempo abbiamo per decidere se comprarla o no?
Ma come facevi a saperlo?
Lascia stare….
15 giorni.
ok ,hai due cordini?
Due cordini? Per fare cosa?
Uno per strozzarti
E l’altro?
Per legare il sacco per farti sparire
E’ bella? Ti piace?
Moltissimo, ha un terrazzo enorme e poi…
Ok, va bene
E adesso dove vai?
A comprarmi un paio di pantaloni x scalare, quelli vecchi hanno l’elastico che non tiene più.
E non vuoi neanche andare a vedere la casa?
Poi mi ci porti; io vendo auto, le case le vendi tu, mi fido, ciao!
Mi piace moltissimo scalare, ma posso praticare l’arrampicata sportiva solo d’inverno, quando la stagione gare-para e’ sostanzialmente ferma. Sebbene gli elementi su cui si gioca la partita sono diametralmente opposti, questo due sport -o arti- presentano diverse affinità: come in parete, così in aria sei completamente da solo e, anche se qualcuno ti suggerisce il movimento o ti guida attraverso la radio, solo tu percepisci -in quel dato momento- l’equilibrio precario o la massa d’aria in cui ti muovi. Tutto ciò rende le due discipline molto introspettive. In arrampicata, inoltre, la componente fisica e’ quasi predominante e, per forza di cose, ti induce a mangiare meno e meglio; ciò, purtroppo, va in contrapposizione col volo: più pesante sei e meglio è!
Simond elasticizzati da 34,99 € taglia S, vado sul sicuro. Entro in camerino a provarli ed un’amara realtà mi rovina nuovamente -dopo l’inaspettata notizia della casa- la giornata. Un salvagente mezzo sgonfio affiora intorno al mio girovita… muovo la mano, sia mai abbiano pensato bene di sostituire lo specchio con un poster di uno sfigato un pò ingrassato, scuoto la testa come un cavallo e prendo lo smartphone e mi fotografo.
Fede, guarda come mi stanno sti pantaloni, a parte sta trippa sono molto belli!
Di culo sono perfetti, e tanto lo so che hai già deciso di prenderli!
Torno a casa, tolgo il neoacquisto dalla busta e lo appendo al gancio sul soffitto, proprio davanti alla porta di uscita….
Non mi sono mai drogato. Al Liceo ero l’unico di 27 studenti a essere rimasto vergine di canna. Erano gli anni ‘80 e l’eroina a Torino scorreva a fiumi. Ai tempi uscivo con una studentessa del Santorre di Santa Rosa, scuola per dietiste. Ricordo che la sua migliore amica le invidiava il culo, il suo -diceva lei- era piatto, ma era molto carina. Più avanti lasciò la scuola, la rividi anni dopo in televisione, faceva l’attrice… sapeva scegliere bene i letti in cui dormire…. Con la mia fidanzatina ero solito trascorre momenti spensierati in un giardino in cui, poco distante da noi a 50 metri circa, vedevo tossici con la siringa in vena che viaggiavano in economy con poche lire. Ho perso amici e conoscenti a causa della droga, ho visto famiglie perbene ridursi in schiavitù……e ho una paura folle per i miei figli….
In gara, ma questo vale anche per il volo in relax, è fondamentale essere lucidi. Si devono prendere decisioni in tempo zero, non ci si può permettere di sbagliare: ormai le gare si vincono sui dettagli e sulle sfumature; non sono concessi errori che, se commessi, vengono pagati a caro prezzo.
Anni fa sono stato in Cina, a Pechino. Ciò che più mi ha colpito, oltre lo smog, l’odore onnipresente di truciolato metallico misto ad aglio fritto, la mancanza di figa, i grattacieli con pubblicità inneggianti l’Occidente, è stato -indubbiamente- il traffico: caotico, rumoroso, irriverente, incontrollabile, pauroso.
Dopo le prime planate di rito l’incontro con la termica è stato un orgasmo. Sottrarre metri alla forza di gravità era un miracolo che si ripeteva di volta in volta. Volavo sempre da solo. La presenza degli altri piloti mi infastidiva e, se si avvicinavano troppo a me, io me ne andavo. Mi sembrava di progredire velocemente e di sfruttare le termiche domestiche con destrezza ed efficacia. Ogni tanto, poi, emigravo, cambiavo sito di volo e tornavo a casa, con le orecchie basse… Con le prime gare, inoltre, la situazione non migliorava: decine di di piloti che, al minimo accenno di termica, ti investivano come una mandria di bufali in corsa! Ero in fuga perenne.
Come ho superato questa situazione? Ho incominciato a non fuggire da un pilota solo, poi da due, poi non me la davo a gambe quando mi trovavo con piccoli gruppetti…In gara è facile, è più facile: i piloti seguono regole ben precise, fino allo start il senso di rotazione è convenzionalmente a sinistra nei giorni dispari, a destra nei giorni pari. Salvo rare eccezioni, inoltre, tra i piloti c’è molto rispetto: chi trova termica decide il giro, chi sale più forte decide il giro e gli altri si adeguano. Volare con piloti più forti di te è un vantaggio sotto molti punti di vista, soprattutto per la sicurezza. Ho imparato velocemente a seguire le regole, ad essere prevedibile, a non scartare mai di lato come un bufalo della mandria, a rimanere nel mio giro controllando a 360′ gli altri piloti intorno e quelli sotto e sopra. Mi è capitato di volare in gara in modalità sopravvivenza con più di 100 piloti in uno zerino e non aver alcun problema di sorta e, invece, farmela letteralmente sotto per un pilota domestico che decideva, di punto in bianco, di raddrizzare un giro di valzer di termica senza preoccuparsi per le conseguenze che stava causando.
Mancano pochi giorni alla partenza per il Brasile, ho ancora a disposizione un giorno per volare. Faccio un breve resoconto: ho volato sette volte da settembre ad oggi (aprile), sempre da solo in condizioni non eccezionali; sommo le ore….non arrivo alle dita delle due mani. Sei volte non sono arrivato in atterraggio. Apparentemente un po’ pochino, direi…
Mi manca però l’ultimo esercizio, l’esercizio principe, il collante di tutti, il valore aggiunto….
Oggi Sanò non mi serve, alzo la tapparella, c’è il sole… meglio ancora.
Il decollo del Belice mi rassicura, è uno dei più belli e idonei della zona, il vento non tira mai forte e permette persino di sbagliare: niente cavi, nessuna falesia a strapiombo quando esci. Preparo l’attrezzatura con calma, controllo tutto due volte: non ho fretta.
Sei pronto Luca?
Si
Mi raccomando corri
Ok papà
Non mi piace viaggiare in aereo, lo trovo noioso, ripetitivo, odio i tempi morti. Preferisco l’auto, posso fermarmi a pisciare quando voglio, all’aria aperta. Ho il mio rito: prima di entrare nel gate passo una buona mezz’ora in libreria alla ricerca di un buon oblio per la mente. Non sempre mi va bene e dover leggere l’unico brutto libro di cui disponi è peggio di un calcio negli zebedei! Sono stato molto fortunato nel viaggio di andata, una fila completamente libera mi ha consentito un viaggio in business al prezzo economy. Ora mi trovo intrappolato come una sardina, sarà lunga, molto lunga.
Non sono soddisfatto per come è andata la gara. Ho commesso errori che, ancora oggi, non mi so spiegare, o meglio lo so benissimo. A torto ho sentito dire che se hai un problema, quando stacchi i piedi da terra ti dimentichi tutto, almeno momentaneamente. Per me non è così, alcuni problemi si trasformano in un -3 costante.
In una task all’apertura dello start mi trovavo a 100m da terra in modalità si salvi chi può insieme ad altri tre piloti. Avevo ipotizzato una linea diversa per partire, che mi avrebbe dato un bel vantaggio iniziale, ma tre cumuli in sequenza avevano rifiutato le mie avance facendomi perdere la quota guadagnata in precedenza. Mi ero salvato da solo, ma l’ansia di recuperare i primi mi aveva fregato, solo dopo pochi km.
Il vero capolavoro, però, era alle porte: in un’altra task mi accorgo 4,800 km dopo di non aver fatto una boa… torno indietro… ombra ovunque dove prima c’erano i cumuli… game over.
Avevo iniziato bene, nei giorni di training day mi sembrava di aver facilità di salita in termica, sicurezza e giusta spavalderia, voglia di correre e tanta voglia di vincere. La prima task aveva poi confermato le mie impressioni: miglior tempo in goal a pari merito col vincitore della recente Superfinale colombiana, Michel Sigel. Per buona parte della gara ero riuscito, inoltre, a dettare tempi e termiche ai miei avversari: cani rabbiosi e affamati alla rincorsa di una salsiccia volante!
È nell’ltima task, però, che ho fatto la differenza, usando più la testa che la speed, mix di tanti esercizi, regalandomi una vittoria di task che -con le nuove regole- mi consentiranno di accedere direttamente alla prossima Superfinale che, neanche a farlo apposta, si disputerà a Febbraio proprio a Baixo Guandu.
9/7/2018
Avrei voluto chiudere in bellezza questo piccolo racconto descrivendo nei minimi dettagli una bella vittoria e, invece, se mi volto, vedo due delle più importanti gare della stagione – i Campionati Italiani e la Pwc di Gemona- volate in modo imbarazzante, con errori a ripetizione e il mio nome in classifica facilmente reperibile abbassando lo sguardo.
So benissimo che il mio pessimo stato di forma dipende solo ed esclusivamente da me stesso, o meglio dall’emotività con cui vivo la mia quotidianità e gli impegni familiari incatenati al mio cuore.
Non bastasse, ho poco tempo per esorcizzarla: sono stato selezionato per i prossimi Campionati Europei che si disputeranno in Portogallo, tra una settimana….
Speravo molto nella convocazione e quando il Team Leader -Alberto Castagna- me lo ha comunicato, ovviamente la notte non ho chiuso occhio….
Tre giorni dopo recupero nella rubrica del telefono il numero di Alberto. Con lui ho un bel rapporto schietto, da amico vero. Mi ha insegnato molto nel corso degli anni, sia dal punto di vista tecnico-tattico sia da quello umano. Infinite volte mi ha consigliato di fare un ‘giro di campo’ dopo un buco per poi ripresentarmi in squadra e pensare alla task successiva. A volte un giro non bastava e allora, per farmi sbollire l’ira funesta, era necessario affrontare una vera e propria maratona, ma il consiglio ha sempre funzionato e lo tramanderò senz’altro ai miei figli… nella vita si rivelerà per loro utile.
Mi sento un pò in colpa, forse ho rubato il posto a qualche altro pilota più in forma di me, sono tormentato e vorrei comunicarlo ad Alberto… sono pensieroso e titubante, quindi, prima decido di parlare con Federica.
Essere parte della squadra Nazionale è l’ambizione massima a cui un pilota garista può e deve aspirare. Non c’è nulla di più ambizioso, se non la vittoria per la tua Nazione. In questi giorni di Mondiali di calcio da spettatori, gli Italiani hanno forse capito, più di ogni altra volta, cosa significhi giocare e gareggiare per la propria Patria. Più volte ho avuto i brividi nell’osservare non tanto i gesti atletici bensì gli sguardi dei giocatori che nelle sconfitte immagazzinavano il dolore di milioni di spettatori.
Federica mi lascia sfogare, come spesso capita, e poi, semplicemente, mi fa osservare che altre volte sono stato io quello rimasto a casa a discapito di piloti meno in forma. Come nel calcio ‘la palla è rotonda’ così nel parapendio ‘il cielo ha infinite soluzioni’, sta solamente a te trovare quella giusta, quella vincente.
Prendo il telefono, cancello il numero di Alberto e ne compongo un altro….
‘Ciao Valeria vorrei ordinare un fascio nuovo per il mio Enzo 3 M, si riesce ad averlo per gli Europei?’
Ci si vede il 4-5 Agosto
Marco Littamè
Team Race To Goal
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